Un nuovo report certifica nuovamente l'arretratezza italiana nel
settore dell'adeguamento alle nuove tecnologie. Sono pochi i politici
attenti a questo tema, che pure potrebbe far crescere il PIL e ridurre
la disoccupazione.
Fa notizia l'uomo che morde il cane e non viceversa, e dunque perché
stupirci se nel rapporto Global Information Technology Report 2013 del
World Economic Forum l'Italia è collocata al cinquantesimo posto su 144
paesi monitorati?
La solita classifica usata per piangerci addosso, dirà qualcuno. E no,
stavolta il rating fa particolarmente male, perché i cinquantaquattro
indicatori presi in esame dai ricercatori del WEF misurano il grado di
preparazione di un'economia nell'utilizzare la tecnologia per favorire
la competitività e il benessere. Costatare di essere dietro a Cipro (35°
posto), alla Slovenia (37°), al Kazakhstan (43°), alla Giordania (47°),
al Montenegro (48°) e alla Polonia (49°) è deprimente, ma tant'è.
Ormai lo sanno anche i bambini che l'economia digitale è un volano per
il PIL e i posti di lavoro. Dice il rapporto che negli ultimi due anni
la rivoluzione digitale ha creato nel mondo e fatto crescere il PIL di
193 miliardi di dollari.
E – proseguono impietosi i ricercatori del World Economic Forum – il
trend globale dimostra che un aumento del 10 per cento dell'indice di
digitalizzazione di un paese porta a una crescita dello 0,75 per cento
del PIL pro capite, con la diminuzione dell'1,02 per cento del tasso di
disoccupazione.